ATRIPALDA
Il luogo delle due città
La mia storia
La storia del mio territorio è la storia di due vite: quella del Municipium di Abellinum, in epoca romana, che in seguito alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476) e alle invasioni barbariche, fu gradualmente e definitivamente abbandonato, e quella del nuovo insediamento abitativo, formatosi agli inizi del secolo XI, fuori dalle mura perimetrali della nuova Abellinum, che si era nel frattempo stabilita a tre chilometri di distanza circa dal vecchio Municipium, sulla Collina "La Terra".
E' di questa seconda vita, che prese piede sulla riva destra del Fiume Sabato, che vorrei parlarvi.
Qui si trovava un cimitero paleocristiano, denominato Specus Martyrum , che divenne punto aggregante per i cristiani locali. Tuttavia la nascita della centro abitato che oggi è noto con il nome di Atripalda è da attribuire alla capacità amministrativa di Truppoaldo, un longobardo dei conti di Avellino, a cui si ricollega la dedica del borgo "Ad Tripaldum" e quindi l'origine del mio nome.
La presenza del feudatario, insieme all'ascendente religioso esercitato dalla Collegiata di S. Ippolisto, che fu eretta in quel periodo, unitamente anche alla felice posizione geografica idonea a stimolare i traffici mercantili, alla presenza delle acque del Fiume Sabato e del Fiume Salzola, oltre che alla presenza del folto bosco che forniva l'energia necessaria ai mulini ed altre attività industriali della zona, incisero molto sullo sviluppo del mio centro abitato, che durò fino al XIV secolo.
Sono ancora oggi nota per la mia storica animosità commerciale, che trae le sue radici, nei primi decenni del XVI secolo, dalla venuta di un nucleo di ebrei spagnoli, commercianti e finanzieri, convertiti forzatamente al cattolicesimo per evitare l'espulsione dal regno decretata dal vicerè Toledo nel 1541.
Nel 1564 il genovese Giacomo Pallavicino Basadonna mi cedette, in cambio di alcuni possedimenti milanesi, ai Caracciolo, che così iniziarono una lunga signoria con il titolo di duchi, fino all'adozione dei diritti feudali (2 agosto 1806).
La commercializzazione e la sfarinatura del grano erano le fonti principali di guadagno dei miei abitanti, e, con l'insediamento dei Caracciolo, nelle mie terre si sviluppò anche l'industria del ferro, con l'insediamento delle ferriere (fiorenti tra il XVI ed il XVIII secolo), e l'industria della della carta e della lana, che diedero lavoro, fino alla fine del XVIII secolo, alla maggioranza della popolazione attiva.
Nel corso del XIX sec. mi sviluppai oltre il Fiume Sabato, verso il largo mercato, dove fu edificata una nuova Dogana.
Nello stesso periodo fu costruita una ferrovia e una stazione ferroviaria ad Avellino nei pressi proprio del mio centro abitato, che fu inaugurata il 1° aprile 1879 e finì con il tempo per servire quasi esclusivamente gli interessi dei miei abitanti più che degli abitanti avellinesi.
Il terremoto del 23 novembre 1980 inferse un grave colpo al mio patrimonio urbanistico, peraltro già in forte degrado a causa della parabola discendente che la mia economia stava vivendo già da qualche decennio.
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PARCO ARCHEOLOGICO ANTICA ABELLINUM
Su una delle mie alture, denominata Civita, lungo la riva sinistra del fiume Sabato, sorgeva l’antica Abellinum.
Ad Abellinum faceva riferimento tutto il territorio dell'alta valle del Fiume Sabato, perché era situata lungo una arteria, la Via Antiqua Maiore, che costituiva un importante raccordo tra la via Appia e la Capua Rhegium (che collegava Benevento con la regione salernitana). Successivamente, con uno spostamento collegato probabilmente alla problematica dell’incastellamento e all'arrivo dei Longobardi, la valle del Fiume Irno assumerà un ruolo preminente ripetto all'alta valle del Fiume Sabato.
L’impianto urbano dell’antica Abellinum, racchiuso nel circuito delle mura costruite in opus reticulatum, si estende per un’ampiezza di circa 25 ettari. Assi stradali ortogonali delimitano differenti settori della città individuati dalla ricerca archeologica, pur se messi in luce solo limitatamente. Abellinum ebbe una certa rilevanza nel periodo augusteo e giulio-claudio, come si deduce dalla produzione artistica e da evidenze architettoniche quali le mura, l’anfiteatro e una domus di 2.500 metri quadri di tipo pompeiano, tutti costruiti in opus reticulatum. Il primo impianto della domus risalirebbe al periodo proto-augusteo, come suggerisce il ritrovamento di un signaculum di M. Vispanius Primigenius, probabilmente un liberto di Agrippa. Ulteriore testimonianza di un’intensa attività edilizia tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. è il rinvenimento di numerose tegole con bollo, che potrebbero documentare una serie di fabbriche locali.
Nella domus è ancora possibile individuare gli spazi e gli ambienti tipici delle case romane come il cubicolo (piccolo ambiente destinato a camera da letto, generalmente affiancato da altri simili e dislocato intorno all'atrio) ornato con motivi vegetali su rosso pompeiano, e il peristilio (cortile contornato da colonne sulle quali si poneva un tetto che si appoggiava alla casa. Veniva così a crearsi un portico le cui pareti erano spesso finemente decorate con pitture e mosaici).
Nel parco archeologico è stato rinvenuto anche il forum, la piazza dell'antica città su cui si affacciano alcuni templi da cui provengono molti reperti conservati nel Museo Irpino.
Vi è poi una struttura termale con calidarium (parte delle antiche terme romane destinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore) detta Torre degli Orefici e un lupanare (luogo deputato al piacere sessuale mercenario, ovvero una vera e propria case d'appuntamento o bordello).
Il parco è attraversato anche da una sezione dell'acquedotto romano del Serino.
LA COLLEGIATA DI SANT'IPPOLISTO MARTIRE E LO SPECUS MARTYRUM
La Collegiata di Sant'Ippolisto martire e il sottostante Specus Martyrum devono la loro illustre memoria alla testimonianza audace di fede di Sant'Ippolisto, di cui la storia conserva ricordo, quando era ancora fiorente il Municipio romano di Abellinum. Qui nacque Ippolisto nel 226, da Firmio Stacteo trasferitosi da Antiochia ad Abellinum, e da Fodiola Rosana, di nobile famiglia locale. In quel periodo Abellinum accoglieva numerose famiglie orientali, con conseguenze notevolissime sia demografiche che economiche e culturali.
A dieci anni Ippolisto fu inviato dal padre ad Antiochia, per esservi educato alla cultura classica dal celebre grammatico Babila. Questi si era nel frattempo convertito al cristianesimo ed era divenuto vescovo di Antiochia. Ippolisto fu convertito alla nuova fede e restò discepolo di Babila fino a quando questi non fu martirizzato durante la persecuzione di Decio (249-251). Rimasto solo, Ippolisto fuggì da Antiochia e di là poi andò peregrinando per diverse genti e nazioni finché non fece ritorno di nuovo ad Abellinum, stanco e già afflitto.
Qui i genitori scoprirono con orrore la fede cristiana abbracciata dal loro figliolo e, dopo aver tentato il possibile per ricondurlo al culto avito, lo segregarono a lungo in una parte remota della casa.
Riacquistata poi la libertà e ricevuta l'ordinazione sacerdotale, Ippolisto iniziò la sua intensa opera di evangelizzazione e di proselitismo. Nonostante fosse stato educato alla più raffinata ed aristocratica cultura classica, aveva raccolto e fatto proprio il messaggio evangelico, abbandonando famiglia e posizione sociale per farsi povero tra i poveri, umile tra gli umili. L'assoluta coerenza di vita, la parola rapida e tagliente, la fede ardente ed appassionata, l'elevata cultura, resero presto Sant'Ippolisto il capo naturale della comunità cristiana di Abellinum. Non gli ci colle molto tempo per convertire uno dei più influenti Senatori della città, Quinziano.
La fede vivissima ed inflessibile, che non conosceva compromessi e che lo portava a sfidare apertamente e pubblicamente il paganesimo ed i suoi culti lo rese protagonista di diversi episodi di rottura aperta con la classe dirigente non cristiana di Abellinum.
Si narra che un giorno, mentre gli abellinati celebravano una festa in onore di Giove, Ippolisto si recò audacemente in mezzo al popolo adunato nel tempio e si levò in alto a predicare. Sorse un tumulto e Ippolisto riuscì a stento a salvarsi.
Poco tempo dopo Ippolisto ripeté lo stesso gesto in occasione della festa di Diana, che si svolgeva presso il tempio dedicato alla dea, su una collina fuori della città. Il Santo osò allora predicare pubblicamente alla folla, invitandola a rinnegare i falsi dei. Mentre egli predicava, si narra che la statua della dea cadde rovinosamente uccidendo diversi cittadini pagani. Dopo questo clamoroso episodio, Ippolisto, per sfuggire all'ira dei pagani, fu costretto a rifugiarsi in un "segreto oratorio", probabilmente ubicato nelle catacombe della vicina Prata. Fu solo grazie all'opera di pacificazione degli animi svolta dall'influente senatore Quinziano, già da lui convertito, che la persecuzione nei suoi confronti si attenuò e il santo poté far ritorno in città.
La predicazione attiva ed audace di Ippolisto non fu sterile di risultati, perché, secondo la leggenda, ben presto ottomila Abellinati, quasi tutti appartenenti alla classe degli oppressi, cioè a quella degli antichi abitatori irpini, si convertirono al cristianesimo, formando una legione compatta ed entusiasta.
Ma la lunga e operosa vita di Sant' Ippolisto, spesa tutta al servizio di Cristo, era destinata a concludersi col martirio. Questo avvenne alcuni anni più tardi, durante l'ultima e più accanita persecuzione anticristiana, quella di Diocleziano.
Il primo maggio del 303, festa di Giove, veniva condotto al tempio del dio un toro con le corna dorate, designato al sacrificio. Lo seguivano in solenne corteo le autorità e i sacerdoti, oltre a gran massa di popolo. Appena il rito ebbe inizio, apparve la venerata e canuta figura di Ippolisto, che tentò nuovamente di predicare al popolo. Questa volta, però, i magistrati furono pronti a reagire decisamente, ordinando l'arresto immediato del Santo. Questi fu assalito ed oltraggiato sul posto dalla folla fanatizzata e fu immediatamente sottoposto a giudizio e condannato ad essere trascinato da un toro infuriato fino al luogo del supplizio, sulle rive del Sabato, dove due littori, troncatagli la testa con quattro colpi di scure, la gettarono nel fiume, lasciando il corpo insepolto.
La morte violenta del santo, però, non frenò la fede della comunità cristiana di Abellinum, come i persecutori si erano proposti. Ne esaltò invece la fede e la vocazione al martirio. Infatti, trascorsi due giorni dalla sua morte, due nobili donne cristiane, Massimilla e Lucrezia, figlie del senatore Massimiano, violarono il feroce decreto dei magistrati e, spinte da religiosa pietà, di notte presero il corpo straziato del santo, lo avvolsero in un bianco lenzuolo e lo seppellirono nel sotterraneo ("crypta") di una loro villa di campagna, vicina al luogo del supplizio, a poche centinaia di metri dalle mura della città. Questa villa sorgeva sulla riva destra del Fiume Sabato, in una zona già adibita a necropoli pagana.
L'atto pietoso delle due intrepide donne venne ben presto risaputo ed esse furono condannate ad essere strangolate dai littori.
Altra vittima illustre della feroce persecuzione fu il senatore Quinziano, che era stato da tempo convertito da Sant' Ippolisto. Il martirio di Quinziano fu reso ancora più tragico e toccante dalla contemporanea uccisione dei suoi figli, Ireneo e Crescenzo, di dieci e sette anni, che aggrappati al padre e non volendo a nessun costo abbandonarlo, furono anch'essi giustiziati.
Né qui si arrestò la persecuzione, perché i mesi e gli anni successivi videro il sacrificio di altri martiri, fra cui Giustino , Proculo seniore, Firmiano , tutti i gruppi a famiglie patrizie, Anastasio , amministratore imperiale della città ("curatore civitatis"), Secondino , figlio di un alto ufficiale, Firmio, Fabio seniore, Ignazio ,Proculo juniore, Eustachio, Eusebio, Eulogio, Querulo ed un altro Fabio detto juniore.
I corpi martirizzati furono sepolti nella stessa cripta di Sant'Ippolisto, che fu trasformata in catacomba e poi chiamata "Specus Martyrum". La cripta divenne per i cristiani abellinati un centro di preghiera, come usavano i cristiani presso le tombe dei martiri e fu quindi un sepolcreto dell'ecclesia fratrum. Cessate poi le persecuzioni con l'editto di Costantino (Milano 313 d.Cr.), lo "Specus Martyrum" poté essere finalmente aperto al culto pubblico e sistemato più degnamente.
Il culto dei Sant'Ippolisto, Apostolo degli Irpini, si intensificò e la fama del suo martirio divenne così larga che nell'antico Museo di S. Prisco a Capua l'immagine di S. Ippolisto Martire, titolare della chiesa Matrice di Atripalda, fu riprodotta a mosaico.
Lo Specus Martyrum, ovvero il cimitero paleocristiano dell'antica Abellinum, è probabilmente il primo luogo di culto cristiano delle genti irpine.
Sul sepolcro dei Santi Martiri i cristiani cominciarono sin da subito a celebrare l’Eucarestia e la grotta diventò una basilichetta, di origine probabilmente longobarda, anche se rimaneggiata in epoca normanna.
In esso, tra il quinto e il sesto secolo trovò decorosa sepoltura il santo vescovo Sabino, spentosi nel 520 d.C., e il suo diacono San Romolo, che teneramente lo amava e fedelmente lo serviva. Si narra che Romolo non volle più staccarsi dal sepolcro di Sabino e, piangendo assiduamente presso la tomba dei Martiri, si acquietò solo morendo.
Sia lo Specus che la sovrastante basilichetta subirono diverse modifiche nei secoli, peraltro già avviate dallo stesso santo vescovo Sabino, sicché essi si presentano ora in forma quasi del tutto nuova e diversa da quella che ebbe in origine.
La basilichetta fu sostituita da una chiesa che ricalcava la tipica architettura cristiana cinquecentesca, preceduta da un’ampia scalinata in pietra.
La facciata della Chiesa, divenuta in seguito Collegiata, oggi appare in stile romanico, in pietra calcarea nella parte inferiore e in conci di tufo piperno nero nella parte superiore. Il portale centrale è inquadrato in mezzo a quattro lesene appena rilevate sul resto della facciata.
Nella parte superiore della facciata si apre un finestrone contornato da due nicchie nelle quali sono alloggiate le statue in terracotta di San Sabino e di Sant'Ippolisto. Le due porte laterali invece sono un poco arretrate.
L’interno ha una pianta a croce latina a tre navate. I pilastri della navata centrale sono realizzati in blocchi di pietra calcarea squadrata.
Rispetto all'impianto cinquecentesco, oggi la pianta della chiesa presenta una asimmetria dovuta alla presenza del campanile nella zona sinistra.
Nel 1629 la cripta subì una radicale trasformazione, perdendo completamente le antiche forme. Il Principe di Avellino, Camillo Caracciolo Rossi, col concorso del fratello Tommaso, Arcivescovo di Taranto, vi fece aggiungere una seconda scala, allargandola e facendole perdere la originaria forma di grotta. Le volte della basilica paleocristiana furono affrescate con scene e motivi risalenti alla vita religiosa dei primi cristiani. Inoltre per abbellirne l'interno con stucchi e pitture che tuttora si vedono, insieme ad un affresco rappresentante il martirio di S. Ippolisto, si fece scomparire la preziosa rappresentazione del "Concilium Martyrum", che raffigurava il Salvatore circondato dai venti martiri abellinati, dieci per lato, e ciascuno col nome e altre indicazioni, in atto di essere da Lui coronati.
In questa occasione si fece anche la ricognizione a la traslazione del corpo di Sant'Ippolisto, che fu trovato con parte della fune con cui fu avvinto al toro, di quello di San Crescenzo e di altri tre compagni. Un poco alla volta, a diverse riprese, furono scavati i corpi anche degli altri santi martiri e riposti in cassette di legno.
Nel 1728, adiacente allo Specus, fu costruita la cosi detta Cappella del Tesoro per custodire le reliquie di Sant'Ippolisto e dei suoi compagni martiri. Michele Ricciardi, pittore originario di Penta (SA), ebbe l’incarico di affrescare, nello stesso anno, la Cappella. Il pittore, nel pieno della sua maturità artistica e informato sulle correnti artistiche napoletane, pur conoscendo le opere degli artisti irpini Solimena e Guarino, si ispirava soprattutto alla sensibilità di Luca Giordano per le descrizioni particolareggiate di elementi decorativi e simbolici.
Rappresentò anche la scena dell'Incoronazione della Vergine Maria sulla cupola, l'Aracangelo Gabriele, le Sante Martiri.
Un'ulteriore rappresentazione pittorica che si trova nella Collegiata porta la firma del pittore napoletano Niccolò La Volpe, che nel 1852 dipinse la tela del “Martirio di Sant'Ippolisto”, alle spalle dell’altare maggiore, in sostituzione di un'altra tela, commissionata nel 1828 al pittore napoletano Geremia Iannone, misteriosamente scomparsa.
Una perla che impreziosisce ancor più lo Specus è venuta alla recentemente luce sulla parete o absidiola di fronte alla cappella di San Sabino, dove racchiuso in una mandorla sostenuta da due angeli è raffigurato un Cristo Pantocratore in atteggiamento benedicente. Lo stile e la qualità dei colori lo fanno risalire tra la fine del secolo XIII e l’inizio del XIV.
La chiesa è stata più volte rimaneggiata nel corso della sua storia plurisecolare e oggi conserva sostanzialmente l’aspetto che le fu dato col restauro compiuto nel 1852, quando fu dotata anche di un nuovo, modernissimo e maestoso organo ordinato all’organista napoletano Vincenzo Petrucci.
Furono anche effettuati i lavori di stucco, secondo l'ordine Corinzio, alla navata centrale e alle due laterali, alla crociera e al coro. Nel 1848 si attuò la costruzione del soffitto della navata centrale a cassettoni esagonali modellati in cartapesta; furono apportate modifiche al campanile per poter installare il nuovo orologio, formando una loggiatina con ringhiera di ferro
Negli anni 1888-1891 lo Specus fu ulteriormente restaurato a cura del Barone Di Donato, che fece costruire anche la Cappella di San Romolo analoga a quella di San Sabino. L’area che aveva custodito i resti mortali dei martiri venne recintata con una ringhiera di ferro, il pavimento fu lastricato di marmi scelti, l’affresco del martirio di Sant'Ippolisto fu staccato e sistemato sulla parete adiacente la cappella del tesoro, mentre le reliquie dei santi martiri furono riposte in quattro splendide urne in ottone dorato a forma di tempietto.
Il disastroso terremoto abbattutosi su Irpinia e Basilicata il 23 novembre 1980 causò gravissimi danni a tutta la struttura della chiesa, che però oggi appare ricostruita e restaurata.
Contatti
Parrocchia S.Ippolisto Martirevia Piazza Tempio Maggiore, 183042 Atripalda (AV) – ItalyTelefono: 0825626116Gli uffici parrocchiali sono aperti anche di mattina i giorni: Mercoledì, Venerdì e Sabato dalle ore 10:00 alle 13:00